Trentasei anni fa, a quest’ora, tutto si era compiuto.
L’urlo di Tardelli e Zoff che alza la coppa. Nando Martellini e Bearzot: Pertini che dice “non ci prendono più” e Re Juan Carlos che deve trattenerlo sulla balaustra della tribuna d’onore. Lo scopone sull’aereo del ritorno e tutto il resto.
Camperemo mille anni ancor, ma quella notte lì, rimarrà speciale.
Calcisticamente parlando, la più bella della nostra vita. E con lei, tutta l’estate che si portò dietro: bellissima, caldissima, indimenticabile.
Un Mondiale che finisce, mette sempre un po’ di tristezza.
Ne avverto la malinconia: tipica dei fuochi artificiali che chiudono la festa del Santo Patrono mentre, in sottofondo, si sente il rumore delle chiavi inglesi che cominciano a smontare i palchi.
Ma rifletto anche che questo Mondiale, beh… Non ci lascia praticamente niente.
E succede da diverso tempo, ormai. Al di là dell’Italia che non ha partecipato, e ce lo ha annacquato un bel po’.
Prima, mica era così.
Un Mondiale raccontava molte più cose, si stampava nella mente in maniera infinitamente più netta. Rimanevano immagini quasi indelebili, sulle quali si ricamava un’epica che durava all’infinito: e quella piccola epica finiva per appiccicarsi addosso, attraversando per sempre la tua vita di tifoso.
Ci fu la Corea del ’66, per esempio, che divenne anche un modo di dire.
I “Messicani” del 70, con il 4-3 sulla Germania, i famosi “sei minuti” di Rivera, ed il Grande Brasile dei “cinque numeri dieci”: che fissò per tanti anni (e forse li fissa ancora) i confini dell’estetica pura applicata ad un campo di pallone.
I personaggi del ’74 che ci parevano quasi fiabeschi, con nomi belli ed esotici da imparare a memoria: Tomaszewski, Kaspercszak e gli altri della Super Polonia. Il brasiliano biondo Francisco Marinho e Sparwasser della DDR… Più i grandissimi dell’Olanda: Krol, Neeskens, Rensenbrink, tutti in fila come la pioggia marzolina (che scende argentina)..
Il triangolo Bettega-Rossi.Bettega, nella notte di Baires’78; l’82 per intero, compresi Stielike e Schumacher che erano i crucchi cattivi e li battemmo tanto volentieri anche per quello… Maradona (più altri dieci) che vince quasi da solo nell’86, e persino le Notti Magiche, a casa nostra.
E anche lì, si parla di roba che ha quasi trent’anni, ormai.
Anche Mosca 2018 ci ha ricordato come tutte le cose abbiano ormai perso la loro epica, e conseguentemente la loro magia.
Rimane l’evento, quello si.
E la quantità esagerata di immagini, di informazioni, di post, di tweet: che però, quell’evento finisce per banalizzarlo… Tanto che se provo un brivido nel recitare a memoria (senza alcuna difficoltà, dopo più di quarant’anni) la Germania Ovest “Maier-Vogts-Breitner”, dico altrettanto risolutamente che entro venti giorni non mi ricorderò la formazione della Francia (o della Croazia) campione del mondo 2018.
E tra qualche mese, faticherò a ricordarmi persino la faccia del Capitano che ha alzato la coppa (mentre ho ben stampata in mente quella di Beckenbauer nel 74, e di Carlos Alberto all’Azteca, tanto per dire).
Non rimane niente di questo Mondiale, ecco il punto.
Ci è scivolato addosso, senza che ne percepissimo la magia. Perché i suoi protagonisti, ci sono sembrati un pò troppo uguali l’uno con l’altro.
E le storie che ci ha raccontato, roba già sentita. E comunque tutto, fuorchè interessanti.
Sipario.